I ricercatori stimano che limitare il riscaldamento del pianeta a +1,5°C non sarà sufficiente

Un team di 50 ricercatori ha avvertito, mercoledì (31), che limitare il riscaldamento del pianeta a +1,5ºC consentirà di fermare il cambiamento climatico, ma non eviterà le sofferenze dei paesi in via di sviluppo.

Circa 200 milioni di persone nelle regioni povere saranno esposte a un caldo insopportabile e circa 500 milioni all’innalzamento del livello dell’acqua, anche se il mondo riuscisse a rispettare questo aumento di 1,5ºC della temperatura media del pianeta (in relazione alla Rivoluzione Industriale), hanno indicato questi esperti, in uno studio pubblicato su Nature.

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Questo scenario è attualmente considerato ottimistico, in quanto le emissioni di gas serra rimanere a livelli record.

I climatologi delle Nazioni Unite stimano che le politiche attuali porteranno il pianeta a un riscaldamento di 2,7°C entro la fine del secolo.

La temperatura media sulla superficie del pianeta è già aumentata di circa 1,2°C rispetto all'era preindustriale, un valore già eccessivo, secondo gli autori di questo studio.

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Gli scienziati ritengono che, per evitare che milioni di persone siano esposte a “danni significativi (…), il limite giusto deve essere fissato a 1ºC o meno” e la concentrazione atmosferica di CO2 – attualmente 420 parti per milione (ppm) – dovrebbe essere ridotta a 350 ppm.

“Siamo nell’Antropocene, che mette a rischio la stabilità e la resilienza dell’intero pianeta”, ha dichiarato Johan Rockström, autore principale dello studio, alludendo alla nuova era geologica segnata dall’impatto degli esseri umani sul pianeta.

Per lo scienziato, l’umanità ha già superato sei delle nove linee rosse che incidono sulla salute del pianeta: eccesso di emissioni di gas serra, estinzione accelerata delle specie, eccesso di azoto e fosforo nell’atmosfera (dovuto principalmente ai fertilizzanti), deforestazione, uso eccessivo di acqua potabile acqua e l’ubiquità delle sostanze chimiche di sintesi.

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Gli autori dello studio appartengono alla Global Commons Alliance, una coalizione di oltre 70 centri di ricerca.

(Con AFP)

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